di Benjamin Bourgeois
Ho trascorso tutta la mia vita adulta a educare bambini e adolescenti: in Belgio, Francia, Perù, Stati Uniti e ora in Italia, dove mia moglie e io abbiamo fondato un progetto educativo. Ovunque abbiamo riscontrato lo stesso problema, anche nel profondo della giungla amazzonica. Un articolo apparso sulla Libre Belgique poco tempo fa ne ha fornito l’illustrazione più recente: parlava di bambini delle elementari che fumavano apertamente sigarette elettroniche a partire dalla quarta, e dei loro genitori “che non sanno più cosa fare!” Questa perdita di controllo da parte dei genitori è un fenomeno mondiale. Le soluzioni al problema delle sigarette elettroniche e a tanti altri esistono e sono anche semplici, ma consistono tutte nella decisione di educare i bambini.
Ma educare è diventata una parola fuori moda. Oggi, noi “accompagniamo” i bambini nella loro crescita, “nutriamo” i loro talenti e “prendiamo cura” delle loro debolezze. Ma chi ha ancora il coraggio di educare? Di dire mille volte “no”, di costringere i bambini a fare uno sforzo, di esigere che si comportino bene? Costringere ed esigere sono diventate anche loro parole vietate.
Le conseguenze di questa mancanza di educazione sono drammatiche per i giovani adulti che l’hanno subita. Due esempi reali: qualche mese fa, una donna tra i 25 e i 30 anni è salita sul mio treno un attimo prima della chiusura delle porte. Accortasi di aver sbagliato treno, ha iniziato a agitarsi molto, ha richiesto invano di poter scendere per poi cominciare un vero e proprio attacco di panico.
Un mio amico ingegnere mi raccontava che un giovane appena uscito dall’università è scoppiato in lacrime quando, pochi giorni dopo aver intrapreso il suo primo lavoro, dopo aver realizzato la prima bozza del suo primo incarico, il capo gli ha detto che c’erano due cose da correggere.
Da dove vengono queste debolezze di carattere? Perché i giovani di oggi vengono percepiti fragili ed ego-centrati dalle precedenti generazioni? Fragilità e ego-centrismo, quando presenti nell’anima di un giovane, sono fonti di grandi sofferenze, fra le quali quella drammatica di sentirsi incapace a entrare in un mondo percepito come violento e senza speranza. Ne derivano dipendenze (anche al mondo digitale), violenza (verso di se o degli altri), depressioni e altri disturbi sempre più frequenti. Cosa possiamo fare come educatori per prevenire questo?
Goethe ha riassunto l’essenza dei due gesti educativi fondamentali in poche parole:
“Il talento nasce nel tranquillo isolamento; il carattere si tempra nel fuoco del mondo”.
Questi sono due gesti distinti, anche se sempre intrecciati nella nostra anima: proteggere dal mondo ed esporre al mondo. La gravidanza corrisponde al primo: nel grembo della madre, protetti dal mondo, si forma il corpo fisico. Il dopo parto corrisponde al secondo: “Ora usa il tuo corpo! Respira, mangia, muoviti! Cresci!”. Il primo gesto è avvolgente, pieno di amore; porta conforto, calore e un luogo intimo dove lavorare su se stessi. Il secondo richiede uno sforzo, fissa degli obiettivi e comporta una certa dose di sofferenza, ma è pertanto privo di amore?
La società prima del ‘68 era dominata da questo secondo gesto, reso rigido e meccanico dalla tradizione. La disciplina militare è un esempio dell’eccesso del secondo gesto. Da lì siamo passati all’estremo opposto, eliminando ogni forma di obbligo nei confronti dei bambini, considerando ogni forma di autorità come una violenza. In che misura passare da un estremo all’altro è una evoluzione?
Quando i bambini sono molto piccoli, hanno bisogno di 95% di protezione e di 5% di esposizione. Lo svezzamento è uno dei primi atti di esposizione, un atto che costringe il bambino a confrontarsi con il mondo con un obiettivo specifico: riuscire a mangiare da solo. Man mano che il bambino cresce, diminuisce il bisogno di un giardino protetto e aumenta il bisogno di avventura. In linea di massima, il punto di equilibrio si raggiunge intorno agli 7 anni, dopo il quale il bambino ha sempre più bisogno di entrare nel mondo, di rafforzarsi e sempre meno di essere protetto da esso. Attenzione però: nel dominio digitale stiamo assistendo alla tendenza opposta. Mentre fisicamente ed emotivamente i bambini sono iperprotetti, attraverso gli schermi sono totalmente esposti, abbandonati senza alcuna protezione a un mondo in cui il peggio è accessibile in due secondi ai più innocenti.